venerdì 27 febbraio 2009

ECCO PERCHE' A QUESTI SINDACATI POCO INTERESSA.............


SEDI GRATIS, SENZA TASSE

Tutti i principali sindacati italiani hanno ottenuto gratis le loro sedi, "ereditandole" dai sindacati fascisti. La legge n.
902 del 18 novembre 1977 attribuì infatti i patrimoni delle organizzazioni
sindacali fasciste alle più importanti confederazioni sindacali e associazioni d'impresa. Per i sindacati dei lavoratori
gli immobili furono assegnati a Cgil, Cisl, Uil, Cisnal e Cida ( la
confederazione dei dirigenti d'azienda). Per le organizzazioni degli imprenditori il lungo elenco comprende, tra le
altre, Confindustria, Confartigianato, Confcooperative, Confagricoltori, Coldiretti e Lega Coop. La stessa legge stabilì
che questi trasferimenti di proprietà ai sindacati "democratici" dovevano essere «esenti dal pagamento di qualsiasi
tassa o imposta».
PENSIONI MOLTO FACILI
Due leggi molto particolari consentono poi ai sindacalisti di farsi un'ottima pensione. A costo bassissimo per il
sindacato, ma a costo elevato per le casse dell'Inps. La prima leggina risale al 1974 e prende il nome da Giovanni
Mosca, deputato socialista, in precedenza leader della Cgil. Una semplice dichiarazione del rappresentante nazionale
del sindacato o del partito (la norma riguardava anche i partiti politici) ha permesso di riscattare, al costo dei soli
contributi figurativi, interi decenni di attività, a partire dagli anni Cinquanta. Di proroga in proroga ( l'ultima è scaduta
nel 1980), alla fine la leggina che doveva sanare poche centinaia di casi è servita a quasi 40mila lavoratori (o presunti
tali) di sindacati e partiti. Tra loro: Armando Cossutta, Achille Occhetto, Sergio D'Antoni, Pietro Larizza, Franco
Marini, Ottaviano Del Turco, la scomparsa Nilde Iotti. Pci e Cgil in prima fila: 8mila i funzionari regolarizzati dal
p.c.i., 10mila quelli sanati dal sindacato "cugino". Costo complessivo per l'Inps: attorno ai 10 miliardi di euro.
Nessuno a sinistra gridò allo scandalo. Neanche dopo, quando le inchieste della magistratura
portarono alla luce, tanto per dire, casi di funzionari che avevano dichiarato di aver iniziato a lavorare sin dalla tenera
età di cinque anni. Un'altra leggina, stavolta voluta dall'Ulivo ( decreto
n. 564 del 16 settembre 1996), firmata dall'allora ministro del Lavoro Tiziano Treu, vicino alla Cisl, prevede che i
sindacalisti in aspettativa possano godere di un ulteriore versamento da parte del
sindacato, che si va a sommare ai normali contributi figurativi a carico dell'Inps. Garantendo così, di fatto, una
pensione doppia. Identico privilegio è previsto per i sindacalisti distaccati. Questo
regime speciale oggi è concesso a circa 1.800 sindacalisti, dei quali ben 1.300 fanno capo alla Cgil.
PIOGGIA DI SOLDI SUI CAF
I soldi pubblici arrivano ai sindacati per molte vie. Una legge del 1991 dà alle sigle presenti nel Cnel, oppure delle
quali il ministro delle Finanze abbia riconosciuto la rilevanza nazionale, il potere
di creare uno o più centri di assistenza fiscale. Ai Caf possono rivolgersi i lavoratori dipendenti e i pensionati che
cercano aiuto per la compilazione della dichiarazione dei redditi. Spetta ai Caf anche la certificazione delle
dichiarazioni ai fini del "riccometro". Per ognuna di queste operazioni i Caf ricevono un compenso. Per la
compilazione e l'invio telematico dei modelli 730 dei lavoratori dipendenti, ad esempio, che un decreto del 1998 ha
concesso in esclusiva ai Caf ( monopolio di cui il Parlamento a breve dovrebbe sancire la fine), il compenso del
ministero delle Finanze ammonta a 15,12 euro per pratica. La cifra arriva a 29,74 euro in caso di dichiarazione
congiunta ( vale la pena di ricordare che il compenso dovuto ai commercialisti per la stessa operazione è pari ad
appena 50 centesimi). Cifre analoghe i sindacati incassano dall'Inps per ogni dichiarazione dei redditi dei pensionati e
certificazione ai fini del "riccometro" compilata. In tutto, il mercato gestito dai Caf vale 330 milioni di euro l'anno. Di
questa cifra, il 25% finisce alla Cgil, il 19% alla Cisl, il 7% alla Uil e
il resto alle altre sigle.
LA TORTA DEI PATRONATI
Altri soldi pubblici arrivano ai sindacati tramite i patronati, che prestano assistenza ai cittadini nei rapporti
con gli enti previdenziali. Ogni grande sindacato ha il suo patronato: la Cgil ha l'Inca, la Cisl ha l'Inas e la
Uil ha l'Ital. Tutti hanno le loro sedi all'interno degli stessi istituti di previdenza, con un bel risparmio sui
costi di gestione. Un meccanismo automatico introdotto da una leggina ad hoc varata alla fine della scorsa
legislatura (n. 152 del 30 marzo 2001) assegna ai patronati lo 0,226% dei contributi obbligatori incassati da
Inps, Inpdap e Inail. In tutto fanno circa 310 milioni di euro l'anno, dei quali il 28% finiscono all'Inca-Cgil,
il 20% all'Inas-Cisl, il 15% alle Acli, il 6% all'Ital-Uil. Cifre che si vanno a sommare ai 260 milioni di euro
che ogni anno la pubblica amministrazione spende per garantire i distacchi sindacali dei dipendenti statali e
ai 600 milioni di euro (stima prudenziale dei promotori del referendum del 2000) che i sindacati sottraggono
a lavoratori dipendenti e pensionati tramite le trattenute automatiche delle quote associative in busta paga.
Conto al quale si dovrebbero aggiungere i generosi finanziamenti che lo Stato italiano e l'Unione Europea
elargiscono ai sindacati per l'organizzazione di corsi di formazione professionale dalla dubbia utilità. Lo
ammise lo stesso Antonio Bassolino, all'epoca ministro del Lavoro, nel1998, riconoscendo che questi corsi
sono «più un modo per mantenere il lavoro dei formatori che per favorire quello dei lavoratori».